Ouspensky incontra Gurdjieff
"Il mio primo incontro modificò completamente la mia opinione su di lui e su ciò che egli poteva darmi. Me ne ricordo molto bene.
Eravamo arrivati in un piccolo caffè lontano dal centro, in una via rumorosa. Vidi un uomo non più giovane, di tipo orientale, con baffi neri e occhi penetranti, che mi colpì subito perchè sembrava del tutto fuori posto in quel luogo e in quella atmosfera. Ero ancora pieno d’impressioni d’Oriente e quest’uomo dal viso di Rajah indiano o di Sceicco arabo, che potevo facilmente immaginare con un barracano bianco o un turbante dorato, produceva, in quel piccolo caffè di bottegai e di rappresentanti, con il suo soprabito nero dal collo vellutato e bombetta nera, l’impressione inattesa, strana e quasi allarmante di un uomo mal travestito, la cui vista ci imbarazza, perchè vediamo che non è ciò che pretende di essere e dobbiamo tuttavia parlare e comportarci come se non ce ne accorgessimo. G. parlava un russo scorretto con un forte accento caucasico e quell’accento, al quale siamo abituati ad associare qualsiasi cosa eccetto idee filosofiche, rafforzava ancora la stranezza e il carattere sorprendente di quella impressione."
"La lettura si fermò alla fine del primo capitolo. G. aveva ascoltato tutto il tempo con attenzione.Stava su un divano, seduto con una gamba ripiegata, beveva caffè nero in un grande bicchiere, fumava, e mi lanciava di tanto in tanto uno sguardo. Mi piacevano i suoi movimenti, improntati di sicurezza e di una certa grazia felina; persino nel suo silenzio c’era qualcosa che lo distingueva dagli altri. Sentii che avrei preferito incontrarlo non a Mosca, in quell’appartamento, ma in uno dei luoghi che avevo recentemente lasciato, sul sagrato di qualche moschea del Cairo, tra le rovine di un quartiere di Ceylon o in qualche tempio dell’India del Sud – Tanjore, Trichinopoly o Madura."
Eravamo arrivati in un piccolo caffè lontano dal centro, in una via rumorosa. Vidi un uomo non più giovane, di tipo orientale, con baffi neri e occhi penetranti, che mi colpì subito perchè sembrava del tutto fuori posto in quel luogo e in quella atmosfera. Ero ancora pieno d’impressioni d’Oriente e quest’uomo dal viso di Rajah indiano o di Sceicco arabo, che potevo facilmente immaginare con un barracano bianco o un turbante dorato, produceva, in quel piccolo caffè di bottegai e di rappresentanti, con il suo soprabito nero dal collo vellutato e bombetta nera, l’impressione inattesa, strana e quasi allarmante di un uomo mal travestito, la cui vista ci imbarazza, perchè vediamo che non è ciò che pretende di essere e dobbiamo tuttavia parlare e comportarci come se non ce ne accorgessimo. G. parlava un russo scorretto con un forte accento caucasico e quell’accento, al quale siamo abituati ad associare qualsiasi cosa eccetto idee filosofiche, rafforzava ancora la stranezza e il carattere sorprendente di quella impressione."
"La lettura si fermò alla fine del primo capitolo. G. aveva ascoltato tutto il tempo con attenzione.Stava su un divano, seduto con una gamba ripiegata, beveva caffè nero in un grande bicchiere, fumava, e mi lanciava di tanto in tanto uno sguardo. Mi piacevano i suoi movimenti, improntati di sicurezza e di una certa grazia felina; persino nel suo silenzio c’era qualcosa che lo distingueva dagli altri. Sentii che avrei preferito incontrarlo non a Mosca, in quell’appartamento, ma in uno dei luoghi che avevo recentemente lasciato, sul sagrato di qualche moschea del Cairo, tra le rovine di un quartiere di Ceylon o in qualche tempio dell’India del Sud – Tanjore, Trichinopoly o Madura."
P.D.Ouspensky, Frammenti di un insegnamento sconosciuto
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